La mossa anti dazi del G7 con la global minimum tax

Al G7 passa una tregua fiscale che esclude le big Usa dalla global tax, mentre l’Italia si accoda per evitare scontri: ma tutto resta bloccato finché non decide l’Ocse

Pubblicato: 30 Giugno 2025 08:23

Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Il vertice G7 ha aperto una nuova pagina nella discussione sulla tassazione delle grandi multinazionali, con un’intesa che esclude parzialmente le aziende statunitensi dal meccanismo della global tax. L’accordo, promosso dalla presidenza canadese, arriva per evitare scontri diretti con l’amministrazione Trump, che aveva minacciato una “revenge tax” contro i paesi che avessero continuato a tassare le Big Tech americane.

L’accordo tra i Paesi del G7, per ora, assomiglia più a una tregua temporanea che a una revisione strutturale. Per trasformarsi in regola, questo patto dovrà passare dal filtro dell’Ocse e ottenere il via libera di 147 Stati.

Tra i paesi del G7 c’è anche l’Italia, che si è mossa con la solita cautela: cerca di difendere l’impianto normativo elaborato nel 2021 sotto il coordinamento dell’Ocse, ma punta anche a preservare l’export e il proprio apparato industriale da misure di ritorsione.

Questo accordo dimostra senza dubbio che le minacce di Trump hanno fatto presa. Accettare la cosiddetta “soluzione parallela” ha concesso all’Italia una boccata d’aria, utile a evitare rotture immediate con Washington. Ma il prezzo da pagare è una certa ambiguità: l’intesa salva la faccia a tutti, almeno per ora, ma sul piano fiscale e diplomatico la situazione è meno chiara.

Global tax, la “strada preferenziale” per gli Stati Uniti

Il documento presentato in Canada parla di una “soluzione parallela” motivata dalla necessità di rispettare la capacità decisionale fiscale di ciascun Paese. Le aziende americane saranno escluse da alcune componenti del nuovo sistema, in virtù dei tributi già versati nel proprio territorio nazionale. Una misura che rientra nel quadro delle richieste espresse da Donald Trump. L’intesa potrebbe compromettere l’obiettivo originario della minimum tax, ovvero arginare il trasferimento artificioso degli utili da parte dei colossi del web.

Concepita per mettere fine al giochino delle sedi fittizie, la global tax al 15% punta a colpire i profitti dei grandi gruppi internazionali laddove vengono realmente generati. È stata accolta come la soluzione contro il nomadismo fiscale delle big tech, che per anni hanno parcheggiato utili nei soliti paradisi legali d’Europa. Ovviamente, quella promessa di equità sembra già scricchiolare.

Dazi, pressioni incrociate e compromessi politici

Nelle discussioni in corso, gli Stati Uniti avrebbero proposto di salvaguardare le società già tassate in patria, evitando così il doppio prelievo. In cambio, è arrivato lo stop alla famigerata “revenge tax” inserita nel pacchetto Obbba: una tassa punitiva che avrebbe colpito con un’aliquota del 20% i redditi provenienti dai paesi non allineati alla linea americana. Il disegno normativo, attualmente in discussione al Senato statunitense, prevedeva un impianto di tagli e sgravi fiscali da 2.700 miliardi di dollari, condito da un’imposta punitiva per i paesi giudicati troppo esuberanti sul fronte della tassazione digitale. Il testo, per ora, è stato tolto dal tavolo.

Sul fronte italiano, Antonio Tajani ha dichiarato che un dazio del 10% sulle esportazioni europee sarebbe tutto sommato sopportabile (lo stesso che disse anche Meloni già al vertice Nato).

Ma i numeri raccontano altro: secondo Bankitalia e l’Ufficio parlamentare di bilancio, settori come farmaceutica, auto, meccanica e tessile rischierebbero di pagare il conto più salato. Una guerra commerciale, anche solo a bassa intensità, finirebbe per danneggiare l’Europa più di quanto possa indebolire l’economia americana.

Giorgetti: accordo utile a evitare scontri con Washington

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha definito l’intesa un “compromesso onorevole”, utile a evitare quel meccanismo automatico di ritorsione contenuto nella famigerata sezione 899 dell’Obbba.

Se il compromesso del G7 ha il merito di congelare, almeno per ora, il progetto della “revenge tax”, restano in ballo diverse variabili. La palla passa ora all’Ocse, dove il testo dovrà ottenere l’approvazione di 147 Paesi prima di essere approvato.

↓ Espandi ↓

Intanto Donald Trump sventola l’intesa come un successo da cento miliardi di dollari, cioè il gettito che le sue aziende avrebbero rischiato di perdere con un’applicazione estesa della minimum tax. E non ha perso l’occasione per lanciare un’altra frecciatina all’Europa, accusata di accanimento contro le sue aziende. “Con la digital tax l’Ue non ne uscirà bene, come il Canada”, ha detto.

Cosa cambierebbe per l’Italia

Con questo accordo preliminare, nel breve periodo, evitiamo guai come prima cosa. Niente vendette fiscali dagli Usa, niente dazi improvvisi su moda, cibo, meccanica e affini. Ma rinunciamo a un meccanismo pensato per far pagare le grandi multinazionali dove fanno affari, Italia compresa. La nostra web tax rimane in piedi, ma non è escluso che ci possano essere modifiche. E il principio della minimum tax, che doveva garantire un minimo di equità globale, viene di fatto indebolito.

© Italiaonline S.p.A. 2025Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963