Il dialogo sui dazi tra Unione Europea e Stati Uniti assomiglia sempre di più a una trattativa in zona Cesarini: tanti rilanci, poca sostanza. Gli Stati Uniti hanno trasmesso a Bruxelles una proposta iniziale per tentare di definire un’intesa sui dazi, ma il documento è stato accolto con cautela. Si tratta di un testo sintetico, descritto quasi come un canovaccio su cui costruire eventuali sviluppi.
Intanto, mentre Donald Trump continua a tenere aperte tutte le opzioni, Ursula von der Leyen si confronta con un’Unione Europea frammentata: Berlino preme per chiudere, Parigi frena e Roma apre, ma con riserve. Sullo sfondo, si chiude un accordo importantissimo con la Cina, prospettiva che potrebbe duplicarsi anche in India.
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Dazi, la bozza di intesa per contenere la guerra commerciale
Sembra abbastanza chiaro che Trump, prima di puntare sui dazi tout court, cerchi un accordo. Il testo elaborato dagli Stati Uniti avrebbe l’obiettivo di gettare le basi per una cornice più stabile, in grado di equilibrare eventuali misure tariffarie ritenute squilibrate. Sul tavolo ci sarebbero possibili meccanismi per bilanciare l’impatto delle misure tariffarie unilaterali, nel tentativo di smorzare i toni e impedire una nuova stagione di ritorsioni. Anche se non ufficialmente all’ordine del giorno, il tema dei dazi ha dominato i colloqui tra i capi di Stato e di governo europei riuniti a Bruxelles.
La comunicazione della proposta americana è arrivata a fagiolo, proprio mentre i leader dell’Ue stavano discutendo di politica commerciale. Ursula Von Der Leyen, pur confermandone il ricevimento, ha scelto di non entrare nei dettagli.
Secondo quanto trapelato, la proposta avanzata dagli Stati Uniti non è priva di elementi problematici. Tra le richieste figurerebbe una soglia minima del 10% (come prospettato al vertice Nato) per l’applicazione di tariffe su beni europei, nonché un maggiore impegno degli Stati membri nell’importazione di gas naturale liquefatto e materiali strategici, incluso il combustibile per centrali nucleari.
Trump prende tempo, possibile slittamento
Washington non ha ancora deciso cosa fare con la scadenza del 9 luglio. La Casa Bianca ha lasciato intendere che si considera una proroga, ma la decisione resta nelle mani di Trump. “La scadenza del 9 luglio per gli accordi commerciali non è da intendersi come determinante”, ha dichiarato Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca ai giornalisti, aggiungendo che tutto dipenderà dalla valutazione del presidente. La posizione, ribadita da altri funzionari americani, sembra aprire uno spiraglio per guadagnare tempo. Questo tipo di flessibilità è utile e anche strategica, e serve a scongiurare un deterioramento delle relazioni transatlantiche.
Nonostante l’apparente apertura, il quadro non è privo di ambiguità. Leavitt ha infatti chiarito che “l’ultima parola spetta al presidente”. Non si esclude quindi che Donald Trump possa optare per una decisione unilaterale in materia doganale, da comunicare successivamente ai partner internazionali. Visto l’andamento delle ultime settimane, nessuno a Bruxelles esclude che Trump possa cambiare idea all’ultimo giro di orologio. È già successo, potrebbe succedere di nuovo.
Le misure erano inizialmente previste per aprile, ma sono poi slittate di tre mesi a causa delle reazioni negative sui mercati. E ora un altro rinvio.
Ue, come hanno reagito gli Stati membri
Nel pieno della trattativa, Antonio Costa e Donald Tusk si sono affrettati a blindare la posizione di Ursula von der Leyen, rinnovando il sostegno politico alla presidente della Commissione. Lo stesso ha fatto Pedro Sanchez, che ha parlato di “piena e totale fiducia” anche nel vicepresidente Sefcovic. Bruxelles, almeno sul piano formale, fa quadrato attorno alla sua negoziatrice.
Von der Leyen, da parte sua, ha preso atto della proposta americana senza sbilanciarsi:
Oggi abbiamo ricevuto l’ultimo documento statunitense per ulteriori negoziati. Lo stiamo valutando proprio ora. Quindi il nostro messaggio è chiaro: siamo pronti per un accordo. Allo stesso tempo, ci stiamo preparando all’eventualità che non si raggiunga un’intesa soddisfacente. Per questo abbiamo lanciato una consultazione su una lista di riequilibrio e difenderemo gli interessi europei secondo necessità. In breve, tutte le opzioni restano sul tavolo.
Le posizioni tra i Ventisette, c’era da aspettarselo, non sono perfettamente allineate. Alcuni Paesi, preoccupati dalle ricadute dell’incertezza sull’economia continentale, spingono per una rapida chiusura della trattativa.
A voler chiudere in tempi stretti è in particolare il cancelliere tedesco Friedrich Merz, secondo cui ogni giorno perso si traduce in un costo per il sistema industriale europeo. Ma la posizione della Francia resta più cauta, con Macron che continua a manifestare scetticismo verso formule che rischiano di sbilanciare l’accordo a favore di Washington.
In mezzo, senza stupirsi, l’Italia. Giorgia Meloni, infatti, nei giorni scorsi si è detta disponibile a valutare un’intesa che includa tariffe del 10%, giudicandole non penalizzanti per l’economia nazionale.
Apertura verso nuove alleanze commerciali
Durante la conferenza stampa che ha chiuso i lavori del Consiglio europeo, Von Der Leyen non ha neanche escluso la possibilità di rafforzare i legami con i Paesi del blocco asiatico Cpttp.
Si può pensare a un accordo Ue-Cptpp come l’inizio di una ridefinizione dell’Organizzazione mondiale del commercio. Certo, pensando a quello che deve essere il formato in senso positivo, per evitare gli errori commessi in passato e mostrare al mondo che il libero commercio con un grande numero di Paesi è possibile se alla base ci sono regole.
Nel frattempo, il presidente statunitense ha annunciato anche l’avvio di nuove intese commerciali: un‘intesa con la Cina è già stata formalizzata, mentre l’India potrebbe essere il prossimo Paese a siglare un patto con Washington.
Cosa succede se l’accordo salta
In caso di mancato accordo, Bruxelles mantiene pronte delle contromisure. La Commissione continua a lavorare a un pacchetto di azioni compensative, comprese possibili sanzioni verso i colossi tecnologici americani. Uno scenario che molti considerano estremo e che, soprattutto Italia e Germania, auspicano di evitare per non compromettere ulteriormente le relazioni con uno dei principali partner commerciali.