Guerra Israele-Hamas, Trump annuncia la tregua di 60 giorni

Mentre Trump parla di tregua e l’Onu punta il dito contro chi ci guadagna, i combattimenti non si fermano e la speranza di una vera pausa resta ancora un’ipotesi tutta da verificare

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 2 Luglio 2025 08:54

A Gaza il fuoco non si ferma, ma da Washington arriva una proposta che potrebbe cambiare qualcosa. Donald Trump ha annunciato un’intesa provvisoria tra Israele e Hamas per una pausa nei combattimenti. “Israele ha accettato le condizioni necessarie per finalizzare il cessate il fuoco di 60 giorni, durante il quale lavoreremo con tutte le parti per porre fine alla guerra”, ha scritto su Truth.

L’ipotesi di fermare le armi è sostenuta fortemente anche da Qatar ed Egitto. La mossa arriva in un momento di altissima tensione: mentre a Gaza si continua a morire, i negoziati restano indiretti e incerti, e sullo sfondo si muove anche la partita con l’Iran. A rendere il quadro ancora più complicato e sinistro, il nuovo rapporto delle Nazioni Unite accusa decine di aziende internazionali di trarre profitto dalla guerra.

Tregua Israele Gaza, i colloqui diplomatici dietro l’intesa

L’annuncio è stato diffuso a pochi giorni dall’incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu a Washington, e segue un’intensa fase di colloqui tra il ministro israeliano per gli affari strategici Ron Fermer e diversi rappresentanti dell’amministrazione statunitense, tra cui il vicepresidente Vance, il segretario di Stato Rubio e l’inviato speciale Witkoff.

Trump ha detto che i suoi emissari hanno tenuto un confronto diretto con i rappresentanti israeliani nella giornata di martedì, descrivendolo come “lungo e produttivo”.

Nel corso di questi incontri, è stato raggiunto un accordo sui parametri necessari per stabilire una tregua di due mesi. La proposta finale, secondo quanto indicato, sarà presentata a Hamas dai mediatori del Qatar e dell’Egitto, che hanno avuto un ruolo centrale nei negoziati.

Truth Social
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Il messaggio della tregua di Trump su Truth Social

Cosa contiene l’accordo per il cessate il fuoco

Il piano prevede un congelamento delle ostilità per due mesi, durante i quali saranno intensificati gli sforzi diplomatici per arrivare a una cessazione duratura delle violenze. ”

I qatarioti e gli egiziani, che hanno lavorato duramente per contribuire a portare la pace, presenteranno questa proposta finale”, ha detto Trump, definendo l’accordo un’opportunità storica. Non è mancata poi la minaccia ad Hamas: “Spero, per il bene del Medio Oriente, che Hamas accetti questo accordo, perché la situazione non migliorerà, anzi, peggiorerà”.

Lo schema delineato da Trump ricalca, con alcune varianti, la tregua già sperimentata nei primi mesi del 2025, quando una pace temporanea era stata mediata sulla base di una cooperazione tra Qatar e Stati Uniti.

La principale differenza oggi riguarda la natura indiretta dei colloqui tra Israele e Hamas. Il nuovo piano, sostenuto politicamente e diplomaticamente da Washington, prevede un coinvolgimento strategico delle cancellerie arabe. L’annuncio del cessate il fuoco da parte di Trump arriva inoltre in un momento segnato dalla recente tregua tra Israele e Iran, altro punto di equilibrio instabile nella regione.

La posizione di Trump su Netanyahu e gli ostaggi

Durante un breve intervento pubblico in Florida, Trump ha confermato ai giornalisti la volontà di mantenere una linea rigida nei confronti di Netanyahu, perché per lui l’obiettivo primario resta la fine del conflitto e la liberazione degli ostaggi israeliani detenuti nella Striscia.

Le informazioni finora trapelate indicano che il rilascio di alcuni prigionieri israeliani potrebbe avvenire in due fasi: una prima, prevista durante i 60 giorni di tregua, comprenderebbe dieci persone ancora vive e i corpi di diciotto deceduti. La liberazione dei restanti ostaggi verrebbe invece legata al raggiungimento di un’intesa permanente.

Incognite sulla presenza militare israeliana a Gaza

Non ci sono ancora indicazioni su un possibile ripensamento della presenza dell’esercito israeliano nella Striscia, né sulla gestione della cosiddetta Gaza Humanitarian Foundation, al centro di critiche crescenti. Sono due dossier particolarmente sensibili, e proprio per questo ancora fermi. È anche il motivo per cui la proposta annunciata da Trump viene presa con le pinze: il contenuto di questo accordo non è chiaro.

Secondo fonti raccolte da Washington, Teheran avrebbe dato ordine a unità navali di caricare mine nello Stretto di Hormuz, nel tentativo di alzare la posta nel confronto con Israele. I preparativi sarebbero scattati a ridosso del primo attacco missilistico israeliano del 13 giugno scorso, per mettere pressione sul traffico marittimo in una delle aree più delicate del pianeta.

Sembra che Netanyahu, da parte sua, sarebbe disponibile a una certa flessibilità sulla presenza militare israeliana durante la tregua, pur mantenendo il controllo strategico sull’area. L’intesa è stata raggiunta, ma le condizioni, tutte sbilanciate su un solo fronte, rendono difficile immaginare una reale attuazione

Il rischio di fallimento

Ansa riporta che una fonte diplomatica israeliana ha fatto sapere che le discussioni con Hamas potrebbero intensificarsi nei prossimi giorni. Hamas, come tra l’altro è già capitato, ha detto  di non voler accettare condizioni che non prevedano la cessazione definitiva delle ostilità. La finestra per un accordo, quindi, resta stretta e dipenderà in larga misura dalla pressione diplomatica esercitata da Washington.

Anche perché si parla di tregua, ma questo stride con quanto sta accadendo. Secondo Al Jazeera, i raid israeliani non si sono fermati nella notte: a Gaza City e a Deir el-Balah ci sono ancora morti e feriti tra i civili. Il cessate il fuoco esiste solo nei comunicati.

Accusa delle Nazioni Unite: il ruolo delle aziende nel conflitto a Gaza

Poi c’è un dato che vale la pena analizzare. L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, firmato dalal relatrice Francesca Albanese, mette in fila oltre sessanta aziende internazionali che avrebbero tratto vantaggio dalle operazioni militari israeliane nei Territori Occupati. Il documento, costruito su una mole imponente di materiali raccolti da governi, attivisti e accademici, punta il dito su un meccanismo economico che, secondo l’autrice, renderebbe la prosecuzione del conflitto non solo possibile, ma conveniente.

“Mentre la vita a Gaza viene annientata e la Cisgiordania è sotto attacco crescente, questo rapporto mostra perché il genocidio israeliano continua: perché è redditizio per molti”, si legge nel testo.

Il rapporto classifica le aziende secondo il loro settore d’appartenenza. Alcune operano nell’ambito della difesa, come Lockheed Martin e Leonardo, chiamate in causa per la fornitura di armamenti utilizzati durante le operazioni militari israeliane. Altre, come Caterpillar Inc e HD Hyundai, sono menzionate per i macchinari usati nella demolizione di strutture civili nei territori palestinesi.

Nel campo tecnologico, vengono indicati nomi come Alphabet, Amazon, Microsoft, IBM e Palantir Technologies, accusati di fornire strumenti e infrastrutture informatiche che contribuirebbero al sistema di sorveglianza e controllo nei territori occupati.

Il rapporto invita le aziende a rivedere i legami con Israele quando questi comportano rischi legali. Aggiunge poi nomi e dettagli a un elenco ONU già esistente, aggiornato per l’ultima volta nel 2023.