Batteri anti metallo per bonificare uno dei suoli più inquinati d’Italia

Ingurtosu, ex sito minerario in Sardegna, rinasce con il progetto Return: batteri e piante locali per bonificare il suolo contaminato da metalli pesanti

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Mirko Ledda

Editor e fact checker

Scrive sul web dal 2005, come ghost writer e debunker di fake news. Si occupa di pop economy, tecnologia e mondo digitale, alimentazione e salute.

Pubblicato: 27 Giugno 2025 13:44

Nel cuore del Parco Geominerario storico e ambientale della Sardegna, nella suggestiva cornice di Ingurtosu, nel Sud Ovest dell’isola, sta prendendo forma un progetto di bonifica innovativo grazie a batteri e piante locali. L’area è fortemente inquinata da metalli pesanti come piombo e zinco. Oggi ospita uno degli esperimenti più promettenti di fitorisanamento condotti nell’ambito di Return, il programma nazionale finanziato dal Pnrr dedicato ai rischi ambientali, naturali e antropici.

I danni ambientali di Ingurtosu

Nato nella seconda metà dell’Ottocento, Ingurtosu fu uno dei principali centri minerari europei per l’estrazione di piombo e zinco, sviluppato inizialmente da compagnie italiane e poi gestito dalla britannica Pertusola Ltd, che realizzò infrastrutture imponenti come la laveria Brassey di Naracauli e un’intera rete ferroviaria per il trasporto del minerale fino al mare.

Il villaggio ospitava migliaia di operai e disponeva di scuole, un ospedale e perfino un “castello” per la direzione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il declino economico e l’esaurimento dei giacimenti portarono alla chiusura definitiva delle attività negli anni ’60.

Oggi è un luogo sospeso tra archeologia industriale e natura selvaggia. Ma è anche l’epicentro della ricerca scientifica per il recupero ambientale e la bonifica sostenibile dei terreni contaminati grazie al progetto Return e a Enea.

Il progetto Return per il recupero del suolo

Il progetto Return (Multi-risk science for resilient communities under a changing climate) coinvolge 26 partner tra università, enti di ricerca, istituzioni pubbliche e private, con l’obiettivo di rafforzare la capacità scientifica italiana nel fronteggiare rischi climatici e ambientali.

Il progetto è organizzato in 8 aree tematiche (chiamate spoke). Ingurtosu rientra nello spoke 4 dedicato alla lotta al degrado ambientale, a cui collaborano, tra gli altri l’Università di Cagliari e la già citata Enea.

I ricercatori hanno messo a punto una tecnica di bonifica naturale fondata sulla collaborazione tra batteri e piante autoctone. L’obiettivo è restituire vitalità a suoli compromessi dall’attività estrattiva, riducendo l’impatto ambientale con soluzioni sostenibili e replicabili.

Il Rio Piscinas a ridosso dell'omonima spiaggia, rosso per i minerali di Montevecchio, sito gemello di Ingurtosu
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Il Rio Piscinas a ridosso dell’omonima spiaggia, rosso per i minerali di Montevecchio, sito gemello di Ingurtosu

Cos’è la bioaugmentation: i batteri alleati della scienza

Il cuore della sperimentazione è la bioaugmentation, un insieme di tecniche di biorisanamento che prevedono l’inserimento di microrganismi in ambienti contaminati, con lo scopo di degradare, trasformare o catturare sostanze inquinanti.

Il processo di Ingurtosu prevede l’introduzione nel suolo di 11 ceppi batterici nativi, isolati direttamente dagli scarti minerari del sito. Sono in grado di sopravvivere in ambienti ad alta concentrazione di metalli pesanti e, cosa ancora più importante, di stimolare la crescita delle piante e migliorare la biodiversità microbica.

Chiara Alisi, di Enea, ha spiegato:

I batteri non possono degradare i metalli, ma possono immobilizzarli, rendendoli meno pericolosi e facilitando il recupero del terreno.

I microrganismi, infatti, rilasciano sostanze nutritive che permettono alle piante di attecchire anche in condizioni estreme. Una delle specie più promettenti in questo contesto è l’elicriso, una pianta spontanea tipica del territorio sardo.

Un modello sostenibile per la rigenerazione ambientale

La sperimentazione condotta nell’area mineraria isolana non è solo un intervento locale, ma un modello che ha l’ambizione di diventare esportabile.

I primi risultati evidenziano già una riduzione della concentrazione di metalli nel suolo, un incremento della vegetazione spontanea e un miglioramento complessivo della salute del terreno – obiettivi coerenti con la visione del progetto Return.

Si tratta di uno dei grandi progetti strategici del Pnrr dedicati alla transizione ecologica e alla resilienza territoriale. Si articola, come già detto in 8 spoke, che riguardano eventi estremi legati all’acqua alle frane, dai terremoti all’impatto del cambiamento climatico sulle comunità e le infrastrutture.

È finanziato nell’ambito della Missione 4, Componente 2 del Pnrr, intitolata Dalla ricerca all’impresa. Ha un budget di circa 120,8 milioni e fino al 50% è destinato a finanziamenti a cascata, cioè call rivolte a startup, spin-off, imprese e operatori esterni al partenariato.