Una signora entra in un centro commerciale e scivola all’ingresso per il pavimento bagnato. Non c’erano cartelli di avviso né tappetini. Il gestore dell’esercizio può essere ritenuto responsabile per omessa vigilanza e difetto di manutenzione e la signora può avere diritto a un risarcimento. Infatti, chi ha in gestione o proprietà un immobile, un’attività o una strada ha l’obbligo di custodirlo in modo diligente per evitare che si verifichino danni a terzi.
Nel caso dei privati, come supermercati, negozi, ristoranti, l’obbligo è ancora più stringente, poiché chi invita il pubblico nei propri locali deve garantire condizioni di sicurezza adeguate.
Anche l’ente pubblico, come il Comune, è tenuto a mantenere le strade in buono stato e segnalare eventuali pericoli. Ad esempio, se un uomo cammina lungo il marciapiede e cade a causa di una buca profonda e non visibile. La responsabilità ricade sull’amministrazione, salvo che questa dimostri l’imprevedibilità dell’evento.
Indice
Cos’è la responsabilità da custodia?
L’art. 2051 c.c. prevede che:
“Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.”
In altre parole, il proprietario o gestore di un bene è responsabile in automatico se quel bene ha provocato un danno. Non serve dimostrare che ci sia stata colpa o negligenza.
Se una persona inciampa in un tombino sporgente all’interno di un cortile condominiale. Il condominio è considerato custode dell’area e, salvo prova del caso fortuito, dovrà risarcire il danno.
Tale responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. è oggettiva e basta dimostrare che:
- la cosa in custodia presentava una situazione di pericolo (es. pavimento scivoloso, gradino irregolare, marciapiede sconnesso);
- esiste un nesso di causa tra questa situazione e il danno subito;
- il danno si è effettivamente verificato.
A quel punto, il custode è ritenuto responsabile a meno che non provi che il danno è stato causato da un evento imprevedibile e inevitabile, cioè il cosiddetto caso fortuito.
Quando si applica la regola dell’insidia e trabocchetto?
Fino a qualche anno fa, chi cadeva per strada o in un luogo pubblico doveva dimostrare di essere stato vittima di un’“insidia” o di un “trabocchetto”: due termini che, pur non presenti nel Codice Civile, sono stati a lungo utilizzati dalla giurisprudenza per delimitare i casi in cui la P.A. è tenuta a risarcire il danno.
Per molto tempo, infatti, la responsabilità degli enti pubblici – in particolare dei Comuni – non era automatica. Si riteneva che l’art. 2051 c.c. non potesse applicarsi ai beni di uso pubblico molto estesi, come strade, marciapiedi o piazze, in quanto l’amministrazione non sarebbe stata in grado di esercitare su di essi una custodia effettiva e continua. In questi casi, si applicava invece l’art. 2043 c.c., che imponeva al danneggiato di provare la colpa dell’ente, ovvero una condotta negligente o omissiva. Pertanto, il cittadino per ottenere il risarcimento doveva dimostrare che:
- il pericolo non era visibile;
- il cittadino non poteva prevederlo o evitarlo con l’attenzione ordinaria;
- mancava qualsiasi segnalazione preventiva.
In ogni caso occorre segnalare che la Corte di Cassazione ha riconosciuto che l’art. 2051 c.c. è applicabile anche agli enti pubblici, a condizione che non sia dimostrata l’impossibilità di esercitare una custodia efficace a causa della particolare estensione del bene. La Corte ha sottolineato che l’estensione del bene non può escludere automaticamente la responsabilità oggettiva del custode pubblico, ma costituisce un elemento da valutare caso per caso (Cass. sent. n. 3651/ 2006).
Pericolo visibile o imprevedibile? Il ruolo dell’imprevedibilità
La differenza tra un danno risarcibile e uno non risarcibile dipende spesso dalla visibilità e prevedibilità del pericolo. Una buca profonda ma ben visibile in pieno giorno potrebbe non dar luogo a risarcimento, se la persona poteva evitarla con un minimo di attenzione. Se, invece, la stessa buca si trova in una curva, in ombra o non segnalata, allora può costituire un’insidia.
Un pavimento bagnato senza cartello “Attenzione” all’ingresso di un negozio è una classica situazione che può integrare l’insidia. Una scala interna priva di corrimano o illuminazione può essere considerata un trabocchetto, soprattutto se il rischio non è percepibile a prima vista.
In questi casi, la responsabilità del custode deriva dal mancato dovere di prevenzione, perché il pericolo non era visibile né segnalato.
Cassazione: l’insidia può escludere la responsabilità?
Anche se la giurisprudenza attuale applica in modo ampio l’art. 2051 c.c., il comportamento del danneggiato resta rilevante nella valutazione del nesso causale. In particolare, la Cassazione ha precisato che:
“In tema di responsabilità da cose in custodia, la condotta colposa del danneggiato può incidere sul nesso causale, escludendo o attenuando la responsabilità del custode qualora il comportamento della vittima sia stato imprudente o negligente.” (Cass. ord. n. 24799/2024)
In sostanza, la presenza di un pericolo visibile o evitabile può condurre all’esclusione della responsabilità, anche se la cosa che l’ha causato è soggetta a custodia. Non si tratta di un ritorno alla vecchia teoria dell’insidia come condizione per ottenere tutela, ma di una valutazione della condotta del danneggiato e della prevedibilità dell’evento.
Quando non si ha diritto al risarcimento?
Anche se il danno è effettivo, non sempre si ha diritto al risarcimento. Ci sono infatti situazioni in cui la colpa è interamente del danneggiato, oppure in cui il suo comportamento è talmente imprudente da interrompere il nesso causale tra la cosa e il danno:
- una persona cammina distratta guardando il cellulare e cade in una buca ben visibile: può esserle addebitata la colpa esclusiva.
- un utente utilizza una scala di servizio riservata al personale e si fa male: si tratta di un uso improprio del luogo.
- entra di corsa in un supermercato e ignora un cartello che segnala il pavimento bagnato: responsabilità esclusiva del danneggiato.
A chi rivolgersi per ottenere il risarcimento? Comune, proprietario o assicurazione?
Se la caduta è avvenuta su una strada pubblica, un marciapiede o una piazza, il responsabile è generalmente l’ente pubblico proprietario o gestore del bene. Nella maggior parte dei casi si tratta del Comune, ma in alcune situazioni può essere l’ANAS, la Città Metropolitana o una società appaltatrice dei lavori pubblici. Ad esempio se un soggetto inciampa su un marciapiede comunale dissestato, la richiesta dovrà essere rivolta al Comune; mentre se la manutenzione è affidata a un’impresa privata, questa può essere chiamata in causa insieme all’ente pubblico.
A seguito della richiesta di risarcimento danni, il destinatario (Comune, negoziante, assicurazione) può accogliere la richiesta e avviare la procedura di liquidazione del danno; trasmettere la pratica all’assicurazione, che prenderà contatti per la perizia; oppure, negare ogni responsabilità, rendendo necessario un giudizio civile.
In ogni caso occorre rispettare i termini di prescrizione. In linea generale, la richiesta di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, come una caduta in strada o in un locale commerciale, si prescrive nel termine di 5 anni (art. 2947 c.c.).
La decorrenza del termine inizia dal giorno in cui si verifica il fatto dannoso, ovvero la caduta, oppure – nei casi di lesioni fisiche – dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile nella sua entità, ad esempio dopo una diagnosi definitiva o la stabilizzazione della condizione clinica. Anche in presenza di lesioni gravi o con conseguenze a lungo termine, è sempre consigliabile agire tempestivamente per evitare la perdita del diritto al risarcimento e garantire la disponibilità delle prove (foto, testimonianze, referti medici).