Come si calcola il prezzo del petrolio, il ruolo dell’Opec e le variabili

L'instabilità del Medio Oriente è uno dei fattori che incidono sulla determinazione del prezzo del petrolio: ecco perché la guerra in Iran influenza le quotazioni del greggio

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

Pubblicato: 23 Giugno 2025 14:50

La guerra di Israele e Usa contro l’Iran ha sconvolto nuovamente gli equilibri internazionali nell’area, facendo temere fibrillazioni sulle quotazioni del petrolio. Nonostante la minaccia di Teheran di chiudere lo Stretto di Hormuz, da cui passa circa un quinto del greggio mondiale, il prezzo del barile non ha subito shock, ma il rischio impennata rimane dietro l’angolo.

Oltre alla domanda e all’offerta, l’instabilità geopolitica del Medio Oriente rappresenta una delle principali componenti che influenzano il prezzo del petrolio, per questo determinato da numerosi fattori e spesso estremamente variabile.

Il ruolo dell’Opec

In Medio Oriente a in Sud America si trovano le maggiori riserve petrolifere del mondo, risorsa principale di Paesi storicamente precari sia relativamente alla politica interna, sia a livello internazionale.

Di questi Stati, 13 sono riuniti nell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (Opec), fondata nel 1960 per costituire un cartello volto a scongiurare una corsa allo sfruttamento delle risorse di greggio, risorsa caratterizzata da quantità limitate in natura, con una vendita al ribasso del greggio.

L’Opec è stata costituita con l’obiettivo di regolarizzare la produzione del petrolio attraverso un sistema di quote, che avrebbe assicurato ai Paesi membri un prezzo di vendita vantaggioso.

Nel 2018, l’organizzazione ha stabilito di limitare la produzione a circa 39 milioni di barili di greggio al giorno, pari a più di un terzo della produzione globale.

Ad oggi l’Opec conta al suo interno 13 Paesi, che rappresentano circa il 40% della produzione mondiale di petrolio: Algeria, Angola, Arabia Saudita, Guinea Equatoriale, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Rep. del Congo e Venezuela.

A questa lista si aggiunge la Russia, che collabora con il cartello come Stato non membro, mentre i principali produttori di petrolio fuori dall’organizzazione sono gli Stati Uniti, Paese con il primato di barili al giorno con una media di 13,4 milioni, oltre a Cina e Canada.

L’instabilità geopolitica

La prima vera dimostrazione del peso dell’Opec sul prezzo del petrolio si ebbe nel 1973, quando, in seguito allo scoppio della quarta guerra arabo-israeliana, i Paesi arabi dell’organizzazione decisero di apporre l’embargo verso i Paesi occidentali filoisraeliani, in particolare gli Stati Uniti e l’Olanda, riducendo progressivamente la produzione di greggio.

In pochi mesi le scorte mondiali diminuirono del 10%, facendo raddoppiare il prezzo del petrolio, che nel giro di un anno arrivò a quadruplicare da 3 a 11,5 dollari al barile.

Il crollo delle risorse di greggio portò a una crisi energetica globale e pose fine allo sviluppo economico che aveva caratterizzato l’Occidente dalla fine della Seconda guerra mondiale.

La domanda

Oltre che dall’offerta, secondo la prima legge del mercato che governa ogni bene, anche il prezzo del petrolio è naturalmente determinato dalla domanda, rappresentata in particolare dai principali consumatori di greggio, Stati Uniti, Europa e Cina.

Nel 2008, la crisi finanziaria portò al crollo della produzione industriale e al conseguente ridimensionamento della domanda di petrolio, le cui quotazioni scesero in picchiata: il Brent registrò un tonfo di 100 dollari nell’arco di cinque mesi.