Con l’arrivo della bella stagione, quella che combina le vendite del commercio con gli incassi del turismo, ecco un campanello d’allarme di Uiltucs, che ha come missione la tutela dei diritti coloro che lavorano nell’area dei servizi, nei ristoranti, nei negozi e non solo.
All’assemblea annuale del sindacato, organizzata in questi giorni a Firenze, precarietà del lavoro, boom dei contratti part time e di quelli “pirata” e retribuzioni basse sono alcuni dei temi centrali posti all’attenzione dei partecipanti.
E Uiltucs avverte: se c’è una crescita delle offerte di lavoro nel turismo e nel commercio, questo non è sintomo di “buona salute” dei comparti, bensì spia di sfruttamento di milioni di lavoratori. Partendo dai dati sull’occupazione nel turismo degli ultimi anni, vediamo più da vicino i numeri offerti da Uiltucs e quali soluzioni suggerisce per provare a uscire da questo “pantano” occupazionale.
Indice
Dati Unioncamere, le difficoltà di chi non trova personale pur avendone bisogno
Pochi mesi fa Unioncamere sottolineava la crescente difficoltà dei datori a trovare addetti alle attività di ristorazione. Nel giugno 2024 erano quasi 70mila i profili irreperibili (pari a circa il 52,8% delle assunzioni previste) rispetto ai 24mila circa del 2019 (23,7%). Quello turistico è, oggi, uno dei settori più colpiti dalla non corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro.
A ribadire gli ostacoli anche altri numeri riferiti a un paio di anni fa: nel 2023 – indica Unioncamere – le imprese del settore hanno ricercato soprattutto camerieri (quasi 400mila assunzioni compiute di cui 52,3% con difficoltà di reperimento), cuochi in alberghi e ristoranti (230.870 assunzioni di cui 55,4% con difficoltà) e baristi (142.830 di cui 43,6% con difficoltà). Ma tra le figure più difficili da reperire sul mercato troviamo anche i tecnici della produzione e preparazione alimentare (65,7%), i pasticceri, i gelatai e i conservieri (57,7%) e i tecnici della produzione servizi (54,6%). Insomma, un quadro ampio e variegato che mostra tutta la complessità della combinazione tra domanda e offerta di lavoro.
In particolare, gli imprenditori del turismo hanno segnalato la difficoltà di trovare candidati formati, ma gli aspiranti lavoratori hanno – da parte loro – criticato gli estenuanti orari di lavoro, l’assenza di pause settimanali, i salari bassi e i contratti brevi. Un cortocircuito che si scontra, peraltro, con il dato della disoccupazione giovanile oggi attorno al 20%. Ma c’è chi preferisce stare a casa invece che subire condizioni di lavoro ritenute non all’altezza dei propri diritti.
La precarietà è la piaga del terziario e i contratti non assicurano un solido futuro lavorativo
I dati appena visti sono utili a capire meglio quelli di Uiltucs. Il sindacato segnala che tra il 2015 e il 2023 il generale aumento dei lavoratori del terziario (+24,3%) è dovuto anzitutto al boom dei lavoratori a termine, stimato in un +70,2%, e degli stagionali, con un +78,6%. E nella ristorazione l’iceberg della precarietà tocca la punta del +138,6%. Molto ridotto, invece, l’apporto dei lavoratori stabili (+9,5%).
Non solo. Dal 2015 il terziario ha subito una perdita del 9% del potere d’acquisto (contro il 5,8% dell’industria), per una media annua delle retribuzioni – nel 2023 – pari a circa 21mila euro lordi.
Insomma il terziario è in crisi perché offre sì lavoro, ma in moltissimi casi povero a causa di contratti a termine che talvolta non permettono di cercare un secondo lavoro, part-time involontari e forme contrattuali atipiche che non garantiscono continuità lavorativa né tutele adeguate a milioni di lavoratori. La precarietà, avverte Uiltucs, colpisce quasi il 50% nel settore della ristorazione. Con il rischio del “nero” sempre all’orizzonte.
Le magre busta paga, l’assenza di diritti e le questioni finti autonomi del terziario e contratti pirata
Nella ristorazione i lavoratori stabili incassano all’incirca soltanto 10mila euro lordi all’anno, quelli a termine si fermano a 5.500 euro, mentre qualche centinaio di euro in più incassano gli stagionali – 7.100 euro. Inoltre – spiega Uiltucs – la media dei part-time involontari nel settore dei servizi non arriva nemmeno a 12mila euro lordi l’anno.
Senza dimenticare la questione dei contratti pirata i quali, ricorda il sindacato, possono costare anche fino a 7mila euro annui in meno in busta paga, perché sottoscritti “al ribasso” da sindacati non rappresentativi e agendo quasi come “specchio” degli interessi della categoria degli imprenditori. In sostanza testi strumentalmente usati per aggirare i minimi salariali, le tutele e i diritti previsti dai Ccnl “veri”.
Mancano compensi adeguati, diritti, sicurezze ma manca talvolta anche un contratto di lavoro regolare, con tutte le conseguenze in termini di versamenti contributivi, protezione Inail, diritto alle ferie, TFR, permessi e altre agevolazioni.
Non a caso si parla anche di finti autonomi del terziario, ossia chi formalmente è inquadrato come lavoratore a partita Iva, ma di fatto svolge un’attività simile a quella del dipendente, con orari rigidi e un controllo diretto del committente. Solitamente è un’attività che si traduce in una lunga giornata lavorativa, ma con un salario che – tolte tasse, contributi e spese – si aggira sui 600 euro mensili. Il “lavoro povero” non garantisce né reddito adeguato né tutele fondamentali e nel terziario, dove si concentra gran parte dell’occupazione italiana, il fenomeno – rimarca Uiltucs – è particolarmente rilevante. D’altronde nei servizi, commercio e turismo troviamo tipicamente stagionalità, flessibilità e picchi di lavoro alternati a momenti di stagnazione, ossia elementi non incompatibili con contratti poco garantiti.
La proposta finale di Uiltucs
Uiltucs denuncia quindi una povertà salariale e previdenziale che affligge milioni di lavoratori del terziario, i quali pagano un sistema di politiche ed interventi sociali che non funzionano, o che semplicemente non esistono. Nell’ambito dell’assemblea nazionale di Firenze, il sindacato offre però anche una possibile soluzione o tentativo di soluzione, ossia una proposta che si riassume in alcuni numeri e percentuali e nell’incremento:
- del part time minimo a 25 ore;
- della paga oraria del 50% per le ore domenicali e del 100% per le ore nei giorni festivi.
Concludendo, il quadro tracciato da Uiltucs evidenzia una crisi strutturale del lavoro nel terziario, dove la crescita dell’occupazione si accompagna a salari insufficienti e diritti assenti. Con un carovita che sembra destinato a esplodere nei prossimi decenni, serve un cambio di rotta deciso, con regole più eque e contratti davvero rappresentativi. Perché un’economia che si regge su lavoro povero non è un’economia davvero orientata al benessere del paese.