La popolazione italiana invecchia e, di conseguenza, va crescendo la domanda di lavoratori domestici.
Secondo una recente ricerca realizzata da Assindatcolf in collaborazione con il Centro studi e ricerche Idos, entro il 2028 l’Italia avrà bisogno di oltre 2 milioni di lavoratori domestici, tra colf e badanti. Rispetto ai lavoratori domestici impegnati nel 2025 si tratta di un aumento di 86.000 unità.
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L’invecchiamento della popolazione in Italia
In Italia l’invecchiamento della popolazione è ormai strutturale, con il numero dei grandi anziani (gli over 80) che ha drammaticamente superato il numero dei bambini fino a 10 anni. Secondo l’Istat, il numero dei grandi anziani è arrivato a quota 4,6 milioni di persone, quasi l’8% della popolazione.
Secondo il dossier presentato in occasione della Giornata internazionale del lavoro domestico del 16 giugno, nel 2028 saranno necessari 2.074.000 lavoratori domestici, fra colf e badanti, per rispondere alle esigenze delle famiglie italiane. Tenendo presenti gli attuali dati relativi al lavoro nel settore, viene stimato che 660.000 lavoratori domestici saranno italiani e 1,414 milioni di stranieri, pari al 68% del totale. Di questi, 14.471 all’anno dovranno provenire da Paesi non comunitari. In pratica, ogni anno le famiglie cercheranno 28.574 unità: 8.729 italiani e 19.845 stranieri. La Lombardia, essendo la regione più popolosa d’Italia, sarà quella in cui la domanda sarà più alta (+6.400 lavoratori l’anno). Seguiranno Lazio (+5.600), Campania (+3.000) e Veneto (+2.580).
Il dato più rilevante è che oltre il 50% del fabbisogno totale previsto nel prossimo triennio dovrà essere coperto da cittadini non comunitari. E qui entra in gioco la politica, alla quale viene richiesta una programmazione efficace dei Decreti flussi negli anni a venire, cioè dello strumento che regola gli ingressi per lavoro in Italia.
Si chiede la modifica del Decreto Flussi
Andrea Zini, presidente di Assindatcolf, invoca
una quota minima annuale di circa 14.500 unità da dedicare all’assistenza domestica e familiare, che potrebbe elevarsi fino a un massimo di 18 mila unità l’anno, in linea con le quote del 2025.
L’associazione propone inoltre di estendere l’intermediazione delle associazioni di categoria a tutte le tipologie di lavoro domestico, per facilitare le pratiche di assunzione e regolarizzazione.
Luca Di Sciullo, presidente del Centro studi e ricerche Idos ricorda che l’attuale modalità di gestione dei flussi di lavoratori stranieri presenta
conclamate disfunzionalità legate alle chiamate nominative, alla stipula dei contratti di soggiorno, al rilascio dei permessi per lavoro, alla precarietà dei contratti e quindi della permanenza regolare in Italia.
Lavoro domestico esposto al nero
Ma il settore del lavoro domestico è ancora particolarmente esposto al lavoro nero. Secondo i dati contenuti nell’ultimo Rapporto Domina, il tasso di irregolarità tra colf e badanti si attesta ancora al 47,1%, con 5,4 miliardi di euro generati da lavoro sommerso su un totale di 13 miliardi di spesa annua sostenuta dalle famiglie. Se si considera il numero di persone coinvolte, tra datori e lavoratori, il settore raggiunge i 3,3 milioni di individui, molti dei quali fuori dal radar del sistema previdenziale e fiscale.
Una situazione che non solo penalizza i lavoratori, ma produce anche rischi di sfruttamento, discontinuità assistenziale e danni economici per lo Stato. Secondo l’Osservatorio Domina, il comparto contribuisce per 21,9 miliardi alla produzione nazionale, con un risparmio per le casse pubbliche stimato in circa 6 miliardi, grazie al lavoro di cura svolto al posto del sistema sanitario.