La malattia del lavoratore è un evento spiacevole anche per l’azienda, che si ritrova, a volte per lungo tempo, privata di un componente essenziale della propria forza lavoro. Ecco perché a favore del datore ci sono alcune tutele come l’obbligo di giustificare l’assenza, la visita fiscale o il licenziamento per abuso della tutela della malattia.
Tra le regole che proteggono l’azienda c’è anche il periodo di comporto, ossia il limite massimo (variabile a seconda del contratto collettivo e in base a fattori come anzianità di servizio o qualifica professionale) nel quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto, anche se assente per malattia. Superato questo periodo, il datore può licenziarlo.
Proprio in tema di comporto, con la sentenza n. 9831 la Cassazione ha recentemente offerto precisazioni di orientamento per la generalità dei dipendenti e aziende. In sostanza il lavoratore assente per lunga malattia può chiedere le ferie per congelare il comporto ed evitare che sfoci in un possibile stop definitivo del rapporto di lavoro.
Indice
Licenziata per superamento del periodo di comporto
Una donna era stata licenziata per superamento del periodo di comporto. Contro la decisione scelse di rivolgersi alla magistratura e, dopo un primo grado favorevole, la corte d’appello, alla luce dei fatti e prove emerse, ribaltò l’esito della disputa, confermando la correttezza del licenziamento.
In questa vicenda la lavoratrice chiese di usufruire delle ferie residue, ma lo fece in un periodo precedente alla malattia. La richiesta non fu però accettata per motivi organizzativi. Nei giorni successivi, quando insorse il problema di salute, la donna non fece nessuna nuova e specifica richiesta di fruizione delle ferie, al fine di sospendere il conteggio dei giorni di malattia accumulati.
Proprio questa sua inerzia portò il giudice d’appello a valutare come legittimo il licenziamento in oggetto. E, per chiarire ulteriormente, la donna aveva sì chiesto le ferie ma, come si legge nel testo della sentenza n. 9831 che richiama questa fase della disputa:
in un periodo in cui non dichiarava alcuna patologia e pertanto andava applicata la disciplina ordinaria prevista dall’art. 2109 c.c. che attribuisce all’imprenditore il potere di stabilire quando le ferie vanno godute.
L’esito negativo del secondo grado portò la donna a fare ricorso alla Suprema Corte.
Periodo di comporto | |
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📌 Cos’è | Periodo massimo di assenza per malattia durante il quale il dipendente ha diritto alla conservazione del posto |
📆 Durata | Stabilita dai contratti collettivi (ad esempio ammonta a 180 giorni annui nel Ccnl Commercio) |
🧾 Tipologie | Secco – conta i giorni complessivi di malattia
Per sommatoria – somma i giorni di più eventi morbosi distinti |
⚖️ Riferimento normativo | Art. 2110 del Codice Civile |
🔄 Dopo il comporto | Il datore può procedere con il licenziamento per superamento del comporto |
🔍 Verifica | Dipende dal Ccnl e dal tipo di contratto applicato |
🧠 Attenzione | Non vale per infortuni sul lavoro, maternità, malattie professionali |
La trasformazione del comporto in ferie è lecita?
I giudici di piazza Cavour hanno ribadito la correttezza del licenziamento, perché la donna, proprio nei giorni di malattia, non si era autonomamente attivata nel richiedere le ferie, per evitare il decorso del comporto.
Ma la sentenza 9831/2025 è importante soprattutto perché sottolinea l’orientamento consolidato della Corte, secondo cui, a differenza di altri diritti come ad esempio i permessi 104 per assistere un familiare con disabilità grave, il sì alla richiesta di ferie per evitare di bruciare il comporto è condizionato alla valutazione discrezionale del datore.
Quest’ultimo non ha alcun obbligo di accettare quanto proposto dal dipendente malato, ma la concessione è sempre subordinata alla mancanza di impedimenti. La Cassazione parla di
ragioni organizzative di natura ostativa.
Se ci sono il dipendente non potrà usare questa sorta di escamotage, ricevendo un no dell’azienda.
Attenzione però, la Corte chiarisce che il respingimento della richiesta – per non risultare un abuso – non potrà essere immotivato o pretestuoso, ma dovrà basarsi su elementi dimostrabili.
Dovrà fondarsi sui quei principi civilistici di correttezza, lealtà e buona fede che in linea generale devono caratterizzare lo svolgimento di ogni rapporto e che assumono una valenza particolarmente rilevante, poiché il contratto è un rapporto continuativo, fiduciario e asimmetrico, in cui il datore ha una posizione di maggiore forza.
Ricapitolando, il ricorso è stato così respinto perché il fatto che avesse chiesto le ferie in un momento anteriore (quando non era malata) e che le fossero state legittimamente negate per motivi organizzativi, non faceva insorgere alcun dovere per l’azienda di concederle “d’ufficio”, o di trasformare la successiva assenza per malattia in ferie.
Infatti per la Cassazione:
Occorre uno stato di malattia in atto; è necessaria la malattia del lavoratore insorta durante il periodo feriale oppure che il lavoratore in malattia chieda di fruire delle ferie per interrompere il periodo di comporto. Tutto questo non può avvenire né prima (quando la malattia non esiste), né dopo, quando il comporto è stato superato con la pretesa di sottrarre, a consuntivo, i giorni di ferie non goduti.
Quando si può negare l’uso delle ferie per evitare il licenziamento
La vicenda in oggetto porta a chiedersi in quali casi pratici il datore potrebbe rifiutare di concedere l’uso delle ferie residue.
Per avere il quadro un po’ più chiaro, si pensi al caso della piccola azienda con organico ridotto e picco produttivo in corso. In casi come questo, evidentemente, l’utilizzo delle ferie impedirebbe all’azienda di assumere un sostituto a tempo determinato, rendendo ingestibile l’intensificazione del lavoro.
C’è poi il ricorrente caso della mansione altamente qualificata e non facilmente sostituibile. Si pensi a un dipendente tecnico specializzato o un referente unico per un’attività chiave (ad esempio gestione server): la sua assenza continua, anche formalmente coperta da ferie, comprometterebbe una funzione strategica.
Per questo il datore potrebbe dire no alla sua richiesta. Analogamente, il dipendente malato potrebbe trovarsi la porta sbarrata dalla necessità di programmare le ferie per tutti i dipendenti in modo equilibrato. Se l’azienda ha meticolosamente adottato un piano ferie annuale, accogliere la richiesta del lavoratore creerebbe squilibri.
In ogni caso, il datore dovrà sempre dimostrare che la concessione delle ferie comprometterebbe l’organizzazione aziendale.
Che cosa cambia per i lavoratori in malattia
Con la sentenza 9831/2025 la Cassazione ha chiarito il delicato equilibrio tra il diritto del dipendente a mantenere il posto di lavoro e le necessità operative, organizzative e produttive dell’impresa.
Lo ha fatto offrendo un preciso quadro di diritti e oneri di ambo le parti.
Per interrompere il conteggio del periodo di comporto e difendere il suo posto, il lavoratore in malattia può chiedere di usare le ferie maturate, inutilizzate e residue, ma l’azienda non è tenuta ad accordargliele. L’iniziativa deve comunque partire dal dipendente, che non può aspettarsi la “solidarietà” dell’azienda nel concedergliele spontaneamente.
In linea generale la legge, all’art. 2109 Codice Civile, prevede che il periodo di godimento delle ferie annuali retribuite è stabilito dall’imprenditore, tenuto conto sia delle esigenze dell’impresa sia degli interessi del prestatore di lavoro.
E, in tema di ferie, l’azienda deve sempre comportarsi secondo correttezza e buona fede. Questi principi, se violati, comportano un risarcimento. Ecco perché, per fondare il licenziamento, all’azienda non basteranno motivazioni di principio, generiche, poco chiare e non fondate su elementi tangibili.