Permessi legge 104, una passeggiata può costarti il posto?

Una recente sentenza della Cassazione spiega le regole sui permessi retribuiti della legge 104: fare attività fisica è davvero motivo di licenziamento? Scopri cosa ha deciso la Corte e cosa cambia per i lavoratori

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 15 Giugno 2025 07:00

La legge 104 prevede una rete di benefici e agevolazioni per i dipendenti disabili e i lavoratori subordinati che assistono familiari con grave handicap. Si pensi ad esempio alla possibilità di rifiutare il trasferimento o al congedo straordinario biennale. Tra questi aiuti ci sono anche i noti permessi retribuiti fino a 3 giorni al mese (frazionabili in ore), ossia deroghe all’orario di lavoro a favore dei dipendenti che – al posto di recarsi in ufficio – curano le esigenze quotidiane del familiare non autosufficiente.

C’è una copiosa giurisprudenza in materia, perché nel corso degli anni non sono affatto mancate le dispute tra azienda e dipendente, aventi ad oggetto abusi e irregolarità nell’utilizzo dei permessi 104. Recentemente la Cassazione – con la sentenza n. 14763 – ha stabilito che, nonostante gli obblighi di legge, il lavoratore subordinato che si assenta dall’ufficio tramite questo beneficio, può fare sport. L’affermazione sembra sorprendente ma la Corte ha spiegato in quali condizioni l’attività non è un abuso del beneficio della legge 104 né ragione sufficiente per essere licenziati. Facciamo chiarezza.

Il caso concreto, le attività personali della lavoratrice e sue le difese in giudizio

Una dipendente aveva chiesto e ottenuto i permessi 104 per provvedere ai bisogni giornalieri della suocera malata. Evidentemente non fiduciosa dell’assoluta buona fede della dipendente, l’azienda decise di incaricare un investigatore privato per svolgere delle verifiche e delle indagini “sul campo”, in merito all’utilizzo corretto – e senza abusi – delle agevolazioni in oggetto. La facoltà è concessa dalla legge, ma pur sempre nei limiti delle norme e delle tutele in tema di privacy.

Ebbene, da quanto emerso dalle attività del detective, nelle mattine dei giorni di permesso la donna era solita allontanarsi dalla residenza della persona assistita per fare una camminata veloce, per un tempo variabile tra i trenta minuti e le due ore circa. L’attività sportiva praticata dalla lavoratrice fu ritenuta un abuso e ragione sufficiente per licenziarla in tronco. Ne seguì però la disputa legale, in quanto la donna impugnò il recesso unilaterale chiedendo tutela alla magistratura.

Nel corso del procedimento giudiziario, la lavoratrice si era difesa spiegando che:

  • durante le giornate di permesso 104, tranne che per i brevi e limitati periodi citati poco sopra, era stata sempre presente in abitazione per assistere la suocera;
  • l’attività fisica era svolta, oltre che per arginare lo stress correlato al ruolo di caregiver, in chiave terapeutica al fine di compensare un problema di asma bronchiale. Di ciò la donna aveva fornito giustificazione medica;
  • in sua assenza, l’assistenza alla familiare gravemente disabile era comunque assicurata dalla presenza di una badante, con la quale la lavoratrice restava in costante contatto telefonico.

In estrema sintesi, alla luce di quanto emerso in causa, la corte d’appello concluse per l’invalidità del licenziamento per giusta causa comminato alla dipendente, ritenendo che il datore di lavoro non avesse dato prove sufficienti per “incastrare” la donna e giustificare la sanzione. L’azienda scelse poi di fare ricorso in Cassazione.

Per la Cassazione l’attività sportiva in sé non giustifica a priori il licenziamento in tronco

La Suprema Corte ha riconosciuto le ragioni della dipendente, confermando la sentenza del secondo grado che accordava reintegro sul posto di lavoro e risarcimento. Perché se è vero che c’è una costante giurisprudenza (ad es. Cassazione n. 4984/2014 e 1394/2020) che afferma che l’uso dei permessi per attività personali e diverse dall’assistenza al familiare disabile, può essere giusta causa di licenziamento – rappresentando una chiara violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso – è altrettanto vero che esistono eccezioni alla regola generale.

Nel caso che qui interessa – breve attività sportiva nel corso della giornata – non viene a mancare il collegamento causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, perciò non si è in presenza di un uso improprio, di un abuso del diritto (come descritto ad es. da Cass. n. 17102/2021 e 19580/2019) e della violazione dei principi civilistici di correttezza e buona fede nei confronti dell’azienda e dell’ente assicurativo.

La presenza del caregiver non deve essere costante per tutto l’arco della giornata

In sostanza, per evitare rischi di licenziamento, l’assenza dal lavoro per permesso 104 deve essere in relazione diretta con l’assistenza al disabile, perché il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro. Ma – come scrive la Cassazione nel suo recentissimo provvedimento:

L’utilizzo del permesso 104 è legittimo anche quando non coincide con una presenza costante accanto al disabile, purché sussista un collegamento funzionale e finalistico tra la giornata di assenza e l’attività di assistenza.

In particolare, il nesso tra assenza dal lavoro e assistenza non è strettamente legato al fattore tempo e non impone:

al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali e familiari in senso lato.

Per la Corte non si applicano quindi:

automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all’assistenza in relazione all’orario di lavoro, purché risulti non solo non tradita ma ampiamente soddisfatta la finalità del beneficio che l’ordinamento riconosce al lavoratore.

Che cosa cambia

La recente sentenza n. 14763 ha stabilito che – nell’ambito dei permessi 104 – l’assistenza del familiare disabile può essere svolta con modalità flessibili e non coincide con l’obbligo di permanere per tutte la giornata presso l’abitazione del malato. A patto che sia garantita la tutela della salute di quest’ultimo – e nel caso qui considerato in casa era presente un’assistente domestica – il dipendente potrà compiere, anche, attività collaterali con il ruolo di caregiver, come spostamenti o commissioni (si pensi ad es. allo shopping).

Al contempo, però, potrà anche concedersi momenti di pausa dai carichi emotivi e organizzativi che caratterizzano questo ruolo, specialmente se ricorre una finalità terapeutica nell’attività personale. D’altra parte, l’eventuale accertamento di un uso illecito dei permessi 104 – che non vanno concordati con l’azienda ma comunicati – impone sempre prove concrete di un significativo scostamento dall’obiettivo assistenziale. Non vale – quindi – la regola dell'”automatismo” per numero di ore non direttamente rivolte all’assistenza e non si può essere licenziati per il mero fatto di aver passato una breve parte della giornata senza assistere il familiare non autosufficiente.