Sindaci indagati, arrestati, condannati e talvolta, per fortuna loro e dei cittadini che hanno creduto in loro, anche scagionati. Ma anche assessori e consiglieri, comunali e regionali, non sono immuni dalla stessa sorte. Accade sempre più spesso, da Nord a Sud e sempre per la stessa tipicità di reato: corruzione.
La politica locale in Italia è in crisi, né più né meno di quella nazionale se si considerano i casi di ministri, sottosegretari e semplici parlamentari finiti sotto i fari della magistratura.
Sindaci indagati, i casi recenti
A Prato la sindaca Ilaria Bugetti è finita agli arresti domiciliari per corruzione: secondo la Procura di Firenze avrebbe ottenuto voti e soldi in cambio di favori a un imprenditore del settore tessile.
In Campania, a maggio, sono stati arrestati tre sindaci in soli due giorni: il primo è stato il sindaco di Sorrento Massimo Coppola, beccato in flagranza mentre intascava una mazzetta da 6.000 euro. A San Vitaliano in provincia di Napoli è stata arrestata la sindaca dimissionaria Rosalia Masi. A Santa Marina vicino Salerno è finito agli arresti domiciliari il primo cittadino Giovanni Fortunato, accusato di aver intascato una mazzetta da 100.000 euro.
A marzo sono stati arrestati tre sindaci della provincia di Lecce: quello di Ruffano (Antonio Rocco Cavallo), quello di Sanarica (Salvatore Sales) e quello di Maglie (Ernesto Toma). La Gdf ha contestato un presunto sistema corruttivo tra imprenditori, amministratori e tecnici. La Procura di Lecce ha chiesto gli arresti domiciliari per l’assessore allo Sviluppo economico della Regione Puglia Alessandro Delli Noci. Assieme a lui nove indagati.
A febbraio è stata accolta la richiesta di giudizio immediato per l’ex sindaco di Aprilia, Lanfranco Principi, e altre 18 persone nell’ambito di un’inchiesta su presunte infiltrazioni mafiose.
In Piemonte Alessandro Bonacci, sindaco di Macugnaga, è finito ai domiciliari nell’ambito di un’indagine su concorso in frode processuale e depistaggio e di falso materiale in atto pubblico.
A Riva del Garda, vicino Trento, la sindaca uscente Cristina Santi è stata indagata nell’ambito dell’inchiesta Romeo della Dda. Dopo le nuove elezioni è consigliera comunale.
In Sicilia a febbraio un’inchiesta sul voto di scambio ha portato all’arresto del deputato regionale Giuseppe Castiglione, di due consiglieri comunali e di un sindaco.
Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria, è indagato per corruzione dalla procura di Catanzaro.
Eccetera. Questa era solo la lista di quanto avvenuto nelle ultime settimane o mesi, mentre altri amministratori locali, finiti nei guai in tempi precedenti, vedono nel frattempo evolvere la propria situazione con condanne o assoluzioni.
La corruzione in Italia
“Corruzione” è una parola contenitore che fa storcere il naso agli addetti ai lavori quando i giornalisti la utilizzano a casaccio. In tale generico contenitore, infatti, ci sta dentro un po’ di tutto: peculato, malversazione, induzione indebita a dare o promettere utilità, varie fattispecie di corruzione vera e propria, rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, possesso ingiustificato di valori e molto altro ancora.
Secondo l’ultimo report Istat sulla corruzione, nel biennio 2022-2023 si è riscontrata una diminuzione dal 2,7% all’1,3% delle richieste ricevute dalle famiglie rispetto al biennio 2015-2016. I cali più consistenti riguardano i settori lavoro, uffici pubblici, sanità e giustizia.
Ma si stima ancora che in oltre 1 famiglia su 20 ci sia stata una richiesta di denaro, favori, regali o altro in cambio di agevolazioni, beni o servizi. Le richieste più frequenti al Centro (6,8%), meno nelle Isole (3,6%). Il dato sommerso, naturalmente, sfugge a ogni statistica.
Guerra alla corruzione in Italia con armi spuntate
Negli ultimi anni lo Stato ha messo in atto una vera e propria guerra alla corruzione, con adeguamenti normativi, con l’istituzione dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) e con l’introduzione del whistleblowing.
Ma nell’ambito della politica locale, la corruzione resta difficile da sradicare. A livello locale, i rapporti tra politici, funzionari, imprenditori e cittadini sono più ravvicinati e meno formalizzati. Questo può favorire scambi informali (favori, segnalazioni, assunzioni, appalti), clientelismo e controllo sociale ridotto, perché spesso chi dovrebbe denunciare è parte del sistema o teme ritorsioni. Nei contesti più piccoli, in sintesi, la rete relazionale è più fitta e meno trasparente.
Ma non è tutto: molti comuni italiani, soprattutto nei centri minori, non hanno personale tecnico e legale sufficiente a garantire un’amministrazione trasparente e conforme alle norme. Spesso il segretario comunale è presente solo part-time o gestisce più enti. Le commissioni di gara o i responsabili unici del procedimento (Rup) operano senza veri contrappesi. I sindaci sono costretti a fidarsi di pochi funzionari o consulenti, che acquisiscono un potere di fatto poco verificabile. E anche i sindaci diventano meno controllabili. Si ricorra come gli organi di controllo interno, come revisori o nuclei di valutazione, hanno competenze limitate e spesso dipendono dagli stessi amministratori che dovrebbero controllare.
Si aggiunga il fatto che la burocrazia italiana poggia sulle fondamenta di un un sistema iper-regolato, nel quale non si conosce neppure il numero esatto delle leggi attualmente vigenti. Per il ministro della Giustizia Carlo Nordio oggi in Italia ci sono 250.000 leggi. Nel 2007, una relazione al Parlamento curata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri evidenziava la difficoltà nel conoscere il numero delle leggi in vigore in Italia. “Sembra un paradosso, ma né i cittadini, né i pubblici poteri sono in grado di sapere quante siano le leggi, e gli altri atti con forza di legge, che sono tenuti a rispettare”, veniva scritto, specificando che le varie stime circolate negli anni “hanno avuto un margine di oscillazione estremamente elevato, passando dalle 20.000 alle 150.000” norme in vigore. In un sistema iper-regolato, le norme sono spesso oscure e contraddittorie. E questo favorisce coni d’ombra in cui si inserisce la corruzione.
I controlli esterni, vale a dire Procura, Anac e Corte dei conti arrivano, di norma, tardi. La magistratura contabile, ad esempio, interviene solo dopo che il danno è fatto.
Vanno aggiunti altri due elementi: il primo riguarda la trasformazione della corruzione, che dalla classica mazzetta si è evoluto in altre forme più subdole, come l’appalto truccato, la consulenza inutile o l’affidamento reiterato a una cooperativa amica.
C’è poi un crescente cinismo da parte degli elettori, che archiviati i girotondi di 30 anni fa sembrano aver perso la capacità di indignarsi e, in certi casi, non trovano disdicevole rivotare politici condannati che, dopo il carcere, si ripresentano alle elezioni.
Tradita la lezione di Borsellino
È stata di fatto superata la lezione di Paolo Borsellino: nello storico discorso agli studenti di Bassano del Grappa, il giudice antimafia invitava a scindere la responsabilità giudiziaria da quella politica. Si parlava di mafia, ma il ragionamento può essere esteso alla corruzione. “Quel politico era vicino a un mafioso… però la magistratura non l’ha condannato quindi quel politico è un uomo onesto. E no, questo discorso non va! Perché la magistratura può fare solo un accertamento di carattere giudiziale” e dunque in mancanza di prove certe che portino a una condanna “altri organi, i politici”, dovrebbero prendere le distanze considerando il politico finito sotto inchiesta “inaffidabile”. Borsellino invitava i partiti “non soltanto ad essere onesti, ma anche ad apparire onesti facendo pulizia al loro interno”. Altri tempi: oggi non sono più solo le segreterie a non indignarsi, ma gli stessi elettori.