Ridurre le emissioni di CO₂ non basta più. Per contenere l’aumento delle temperature globali, la comunità scientifica sta studiando soluzioni alternative e che sembrano uscite da film di fantascienza. La geoingegneria climatica però non è un espediente narrativo da disaster movie. I ricercatori di tutto il mondo stanno già progettando e testando soluzioni per riflettere la luce della nostra stella verso lo Spazio per riuscire a raffreddare la Terra. Tra queste ci sono gli spray solari, anche se sarebbe più corretto parlare di aerosol rilasciati nell’atmosfera per aumentarne la riflettività.
La manipolazione dell’ambiente che ci circonda è uno scenario che governi ed esperti stanno prendendo seriamente in considerazione per riuscire a evitare la fine o almeno mettere un freno alla crisi climatica. Tanti i progetti su cui lavorano team internazionali, tante le teorie proposte negli anni. Sarà lo spray solare la soluzione ai problemi del nostro pianeta?
Indice
Cosa sono le tecniche SRM
Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire anzitutto cosa si intende per geoingegneria climatica. Con questo termine ci si riferisce alle diverse tecnologie che hanno lo scopo di intervenire direttamente sul clima terrestre al fine di limitare il riscaldamento globale.
La sola riduzione delle emissioni, come già detto, potrebbe infatti non bastare a disinnescare gli effetti dell’aumento della CO₂. Un tema di rilevante importanza proprio oggi, mentre viviamo quello che potrebbe essere uno degli anni più caldi mai registrati, in cui le temperature hanno già raggiunto più volte le soglie limite imposte dai vari trattati internazionali, come l’Accordo di Parigi.
Di questo passo, entro il 2030 potremmo superare stabilmente la soglia critica di 1,5 °C in più rispetto ai livelli preindustriali.
Tra le branche della geoingegneria climatica c’è la gestione delle radiazioni solari, meglio nota nella letteratura anglosassone come Solar Radiation Management. Si tratta di tecniche pensate per riflettere la luce e ridurre l’energia che raggiunge la superficie terrestre.
Le tecniche SRM hanno lo scopo di aumentare l’albedo globale, il rapporto tra la radiazione solare incidente e riflessa da una superficie. In parole semplici: espandere la quantità di luce solare riflessa. E dunque far assorbire alla Terra meno calore.
Come funzionano gli aerosol nella stratosfera
In natura alcune superfici riflettono più luce solare di altre. La neve fresca, ad esempio, ha un albedo molto elevato: può riflettere fino al 90% della radiazione incidente. È (anche) per questo che studiamo le regioni polari, che hanno un ruolo fondamentale nel mantenere stabile il clima. Sarebbe difficile però ricoprire la Terra di neve con lo scopo di raffreddarla.
Una soluzione di più facile applicazione sono gli aerosol stratosferici o spray solari, tra le tecniche più studiate nel campo della geoingegneria solare. Si tratta di particelle che, rilasciate nell’aria, ne aumentano la riflettività, bloccando parte della radiazione del Sole prima che raggiunga il suolo o il mare.
La sostanza più usata nei modelli sperimentali è il biossido di zolfo, lo stesso gas emesso da alcune eruzioni vulcaniche. Sono proprio questi eventi catastrofici, capaci di innescare addirittura piccole ere glaciali e, in generale, diminuire la temperatura media terrestre, ad aver ispirato gli scienziati.
L’esempio naturale: i vulcani
Il principale riferimento naturale per chi studia gli spray solari è l’eruzione del Monte Pinatubo, nelle Filippine, avvenuta nel 1991. Si tratta di uno degli eventi esplosivi più intensi del XX secolo.
Il vulcano rilasciò circa 20 milioni di tonnellate di biossido di zolfo nella stratosfera, formando un velo di aerosol capace di riflettere la luce solare. L’effetto fu misurabile. Nel giro di pochi mesi, la temperatura media globale si abbassò di circa 0,5 °C (mezzo grado), con un impatto temporaneo ma evidente.
A differenza delle emissioni di CO₂, che agiscono su tempi lunghi, l’effetto degli aerosol vulcanici è immediato, anche se destinato a durare solo pochi anni.
Altre grandi eruzioni, come quella del Tambora nel 1815 o del Krakatoa nel 1883 sono associate a fasi di raffreddamento globale e anomalie climatiche documentate. Il 1816 è passato alla storia come l’anno senza estate, con raccolti distrutti e carestie in varie regioni del mondo.
L’assunto per gli scienziati che studiano la geoingegneria solare è: forse è possibile ottenere un effetto simile, ma controllato, con mezzi artificiali.
Gli esperimenti nel Regno Unito e negli Usa
Negli ultimi anni l’interesse per la geoingegneria solare è cresciuto, spingendo alcuni Paesi a finanziare progetti di ricerca e test controllati.
Il Regno Unito è stato il primo in Europa ad avviare esperimenti sul campo con aerosol stratosferici e tecniche di cloud brightening, all’interno del programma pubblico Exploring Climate Cooling. A differenza del cloud seeding, il cui scopo è far aumentare le precipitazione, il cloud brightening serve a far aumentare la densità delle nuvole, rendendole più riflettenti.
Il programma dell’Aria (l’Advanced Research & Invention Agency), in partnership con il Nerc (National Environment Research Council), prevede un finanziamento complessivo di 56,8 milioni di sterline destinati a diversi progetti, tra cui:
- il Marine Cloud Brightening in a Complex World, finanziato con 1 milione in 5 anni;
- il BrightSpark (uno studio sull’elettrochimica delle nubi), finanziato con 2 milioni in 3 anni;
- il Reflect (per sviluppare tecnologie di nebulizzazione marina), finanziato con 6,1 milioni in 3 anni.
Gli Stati Uniti, attraverso la NOAA (la National Oceanic and Atmospheric Administration), investono da anni nella ricerca sulla geoingegneria solare, in particolare sull’iniezione di aerosol stratosferici e sul cloud brightening. Diverse le iniziative in corso, finanziate dalla Earth’s Radiation Budget Initiative con 35 milioni di dollari tra il 2020 e il 2024. Il finanziamento è stato stabilizzato in circa 11 milioni l’anno dal 2025.
Tra i progetti più rilevanti ci sono diversi studi sulla diffusione di aerosol nelle nubi marine e la costruzione di modelli sugli effetti delle tecniche SRM. Di fondamentale importanza è il Sabre (Stratospheric Aerosol Baseline Research Experiment), che raccoglie dati sulla composizione della stratosfera con un aereo da guerra riconvertito.
Come si sta muovendo l’Europa
Ma quindi tutto tace nell’Unione Europea? Non proprio. Sebbene l’Ue, a differenza di Regno Unito e Usa, non finanzi esperimenti sul campo per gli spray solari, ha stanziato ingenti fondi per lo studio delle SRM, che serviranno a definire un quadro normativo comunitario. Prudenza è la parola d’ordine per i 27.
Genie (GeoEngineering and Negative Emissions pathways in Europe) è il progetto europeo più significativo. Avviato nel maggio 2021 e finanziato dal programma Horizon 2020 dell’Erc, conta su circa 9,2 milioni e coinvolge università e istituti di ricerca di diversi Paesi.
Ha l’obiettivo di valutare con studi interdisciplinari le dimensioni tecniche, sociali, legali e politiche della geoingegneria solare e della rimozione della CO₂.
Nel dicembre 2024 il gruppo di esperti Sapea (tra cui l’italiano Paolo Papale, dell’Ingv) ha elaborato un importante report di orientamento scientifico sulla Solar Radiation Modification. Il documento punta a informare la Commissione sulla portata delle ricerche SRM, elencandone benefici, incognite, rischi e condizioni di governance, oltre a raccomandare un moratorio su qualsiasi intervento su larga scala.
Lo studio italiano sugli spray solari
Anche l’Italia partecipa alla ricerca sulla geoingegneria solare con un approccio esclusivamente modellistico. L’Università dell’Aquila ha sviluppato il modello climatico Ulaq‑Ccm (University of L’Aquila – Climate Chemistry Model), in grado di simulare gli effetti dell’iniezione di aerosol nella stratosfera.
Il modello è stato utilizzato per studiare le proprietà del biossido di zolfo e di altri composti, come il solfuro di carbonile (Cos), un gas che in teoria potrebbe offrire vantaggi rispetto ai solfati. Ha infatti una maggiore stabilità e un impatto più contenuto sullo strato di ozono.
I risultati delle simulazioni, condotte in collaborazione con Cetemps (il Center of Excellence Telesensing of Environment and Model Prediction of Severe events) ed Enea, sono impiegati per valutare la distribuzione delle particelle, la durata dell’effetto riflettente e i possibili effetti collaterali a livello climatico e chimico. Non sono previsti, al momento, test operativi sul campo.
Il futuro della geoingegneria solare
La geoingegneria solare resta, a oggi, una tecnologia senza un quadro normativo internazionale chiaro. Non esiste un trattato globale che ne regoli l’uso, né un’autorità competente per autorizzare eventuali interventi su larga scala.
Alcuni strumenti giuridici esistenti – come la Convenzione Enmod che vieta la modificazione ambientale a fini militari o il Protocollo di Londra sull’inquinamento del mare – offrono riferimenti indiretti, ma non sono stati pensati per l’uso civile delle tecnologie SRM e degli spray solari.
Negli ultimi anni l’Onu, attraverso il Programma per l’Ambiente e il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, ha raccomandato l’apertura di un confronto tra Paesi per evitare sperimentazioni unilaterali e lavorare sulla base di 3 principi:
- trasparenza;
- sicurezza;
- responsabilità.
Come già detto, la Commissione Europea si è già mossa con valutazioni approfondite, le cui conclusioni evidenziano la necessità di regole comuni prima di dare il via a test sul campo.
Il timore è che un solo Paese possa compromettere il clima mondiale, con effetti su agricoltura, allevamento e condizioni di vita di altri popoli.
Gli spray solari salveranno la Terra?
Nello sfondo resta poi aperta un’importante questione: quanto può o deve la geoingegneria sostituire la riduzione delle emissioni? E quanto dobbiamo fare affidamento a queste tecnologie al confine con la fantascienza, dimenticando le buone pratiche per salvare il clima?
La gran parte della comunità scientifica è concorde nel ritenere che tecniche come gli spray solari non possono essere una soluzione permanente, né un’alternativa credibile alla decarbonizzazione. Sparare aerosol nella stratosfera può essere una misura di contenimento temporanea in scenari di emergenza.
Strumenti meno invasivi restano centrali per una strategia climatica sul lungo periodo. Si tratta di:
- cattura della CO₂;
- restringimento delle attività fossili;
- riforestazione;
- efficientamento energetico.
In sostanza, la geoingegneria solare, se mai dovesse essere applicata davvero, sarà verosimilmente usata in combinazione con queste misure e non in loro sostituzione. E solo se (o forse è meglio dire quando), sarà a rischio la nostra stessa sopravvivenza.