La fotografia scattata dai Registri Telematici dell’Olio (RTO), pubblicata a giugno con i dati aggiornati al 31 maggio 2025, evidenzia un quadro strutturalmente critico per il settore oleario italiano: solo il 45,9% dell’olio extra vergine di oliva (Evo) detenuto in Italia è di origine nazionale.
Una percentuale che riflette non solo le difficoltà produttive recenti, ma anche un sistema fortemente dipendente dalle dinamiche internazionali e da importazioni crescenti, soprattutto da altri Paesi dell’Unione Europea.
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Calano le giacenze di olio Evo in Italia
Rispetto allo stesso periodo del 2024, il calo delle giacenze è evidente su quasi tutte le categorie: l’olio Evo è diminuito dell’8,4%, l’olio lampante dell’11,9%, e l’olio di oliva raffinato del 16,9%. Fa eccezione solo l’olio di sansa, che cresce del 35,6%, probabilmente per effetto delle trasformazioni residue in frantoi che puntano a valorizzare ogni frazione del processo estrattivo, anche quelle meno pregiate.
Con 190.638 tonnellate di olio complessivamente in giacenza, in calo del 7,0% rispetto ad aprile e del 6,2% su base annua, il comparto appare sotto pressione. I fattori che contribuiscono a questa situazione sono molteplici: crisi climatica, fluttuazioni dei mercati, crescente competizione internazionale, ma anche squilibri nella struttura dell’offerta e nella valorizzazione del prodotto italiano.
All’interno della categoria più rilevante, l’olio extra vergine, che rappresenta il 71,1% del totale stoccato, si osservano due tendenze contrapposte: la forte diminuzione del prodotto italiano (-36% su base annua) e l’aumento marcato di giacenze straniere, con Evo di origine Ue (+57,2%). È un segnale eloquente della crescente penetrazione dei flussi d’importazione, che compensano la scarsità interna ma rischiano di comprimere i margini dei produttori italiani.
Perché la produzione nazionale è in affanno
Il fatto che meno della metà dell’olio Evo detenuto in Italia provenga da coltivazioni italiane (45,9%) è un indicatore importante delle difficoltà produttive. Le cause sono note e strutturali: anni recenti segnati da fitopatie (come la Xylella in Puglia), periodi prolungati di siccità, eventi meteorologici estremi e un sistema agricolo frammentato che fatica a raggiungere economie di scala competitive.
La riduzione di 9.661 tonnellate dell’olio Evo italiano in un solo mese (da aprile a maggio 2025) conferma poi quanto fragile sia l’equilibrio tra produzione interna e disponibilità a magazzino.
Sud protagonista: Puglia e Calabria in testa
A livello territoriale, il 46,3% delle giacenze totali di olio è concentrato nelle regioni del Sud, con Puglia (26,9%) e Calabria (11,0%) a trainare il settore. La sola provincia di Bari detiene il 12,5% del totale nazionale, mentre Perugia (12,3%) rappresenta un importante hub per il Centro Italia, soprattutto in termini di qualità.
Questa distribuzione territoriale conferma il ruolo dominante delle regioni meridionali nella filiera olivicola italiana, ma evidenzia anche una forte dipendenza da poche aree, il che espone l’intero comparto ai rischi localizzati, come eventi climatici o problemi fitosanitari concentrati su specifiche zone.
Ancora poco protagonista l’olio bio certificato
Nonostante l’Italia possa vantare 50 Indicazioni Geografiche registrate (tra DOP e IGP), la loro incidenza sulle giacenze di olio è marginale. Solo il 5,8% dell’olio totale e l’8,2% dell’olio Evo è certificato DOP/IGP.
Il messaggio è chiaro: il mercato fatica a estendersi oltre le denominazioni più note, lasciando molte etichette senza un reale impatto commerciale. Questo pone un problema strategico: le denominazioni di origine e le certificazioni, strumento principe per la valorizzazione dell’origine, sono ancora poco sfruttate in termini di volume e penetrazione.
Un discorso simile può essere fatto per l’olio biologico. Le giacenze totali ammontano a 22.123 tonnellate, in calo del 28,4% rispetto al 2024, ma pari comunque al 16,3% dell’Evo totale. Le regioni guida del biologico sono Toscana, Puglia, Sicilia e Umbria, segno che il modello agricolo a basso impatto ambientale ha trovato spazio soprattutto in contesti già fortemente votati alla qualità.
Tuttavia, il calo di quasi un terzo in un anno solleva interrogativi sull’effettiva sostenibilità economica di queste produzioni.
Dal punto di vista economico, il calo delle giacenze può avere un effetto ambivalente. Da un lato, la riduzione dell’offerta può portare a un aumento dei prezzi all’ingrosso, specie per l’olio italiano di qualità, sostenendo così le entrate dei produttori. Dall’altro, l’elevato tasso di sostituzione con prodotto estero rischia di comprimere la competitività del prodotto nazionale e di aumentare la pressione sulle imprese italiane, soprattutto quelle che puntano alla fascia premium del mercato.
Se non si interviene su più fronti — produzione, trasformazione, distribuzione e promozione — il rischio è che l’Italia, pur rimanendo un riferimento culturale e simbolico per l’olio d’oliva, ceda progressivamente terreno economico e strategico alle produzioni estere, con tutte le conseguenze che ciò comporta per il tessuto agricolo, economico e sociale del Paese.