In Italia si compra meno cibo e si spende sempre di più

Un'analisi dei consumi delle famiglie italiane alla luce dei dati più recenti: si compra sempre meno cibo ma si spende di più. Ecco cosa aspettarci

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Pubblicato: 16 Giugno 2025 07:00

In Italia le famiglie acquistano sempre meno cibo, ma spendono di più rispetto a un anno fa. A confermarlo sono i numeri pubblicati da Assoutenti, che analizzano i dati Istat relativi ai primi quattro mesi del 2025.

Come è cambiata la spesa alimentare delle famiglie italiane

Secondo l’associazione, tra gennaio e aprile 2025 le vendite di beni alimentari in volume sono diminuite del -1,2%, mentre in valore sono aumentate del +1,4% rispetto allo stesso periodo del 2024. Tradotto: si riduce la quantità di prodotti acquistati, ma si paga di più per ogni singolo bene.

Tuttavia, il dato forse più emblematico di questa dinamica è la perdita di potere d’acquisto stimata in circa 110 euro annui per una famiglia con due figli. Non si tratta solo di un aggiustamento statistico, ma di una vera e propria compressione del paniere alimentare: le famiglie italiane, a parità di disponibilità economica, sono cioè costrette a rinunciare a parte dei loro acquisti.

La causa principale, come evidenziato da Gabriele Melluso, presidente di Assoutenti, è da rintracciarsi nella crisi delle materie prime e nei conseguenti aumenti dei prezzi dei beni alimentari di largo consumo. Si tratta di aumenti spesso a due cifre, che stanno rapidamente alterando le abitudini di spesa degli italiani.

Come l’inflazione influisce sulle scelte di spesa e consumo

L’inflazione, seppur in rallentamento rispetto ai picchi post-pandemia e al biennio 2022-2023, rimane elevata nei settori più sensibili: alimentari, energia, trasporti. La crescita media del +1,4% nelle vendite in valore riflette solo parzialmente ciò che accade a scaffale, dove alcuni prodotti – come pasta, olio, carne, frutta e verdura – registrano aumenti ben più consistenti.

Questa situazione genera un effetto moltiplicatore: anche se i prezzi non aumentassero più nei prossimi mesi, i consumatori già pagano di più per avere meno, e questo ha impatti diretti sulla qualità della vita. Le famiglie si adattano, tagliano, fanno rinunce: comprano meno carne, meno pesce, meno prodotti freschi, più beni a lunga conservazione, più prodotti a marchio del distributore. Cambia il carrello, cambia la dieta, spesso in peggio.

Consumi in contrazione, un segnale d’allarme

Il calo dei volumi di vendita è un indicatore significativo della debolezza dei consumi interni, da sempre uno dei motori dell’economia italiana. In uno scenario ideale, un’economia in ripresa dovrebbe accompagnarsi a una crescita sia in valore sia in volume delle vendite. Ma in Italia, la crescita di valore è trainata esclusivamente dai prezzi, non dalla quantità di beni acquistati.

Questo è particolarmente preoccupante se si considera che l’inflazione colpisce in modo regressivo: più è bassa la capacità di spesa, maggiore è l’incidenza dell’aumento dei prezzi. Le famiglie a reddito fisso o basso soffrono di più, perché per loro le spese alimentari rappresentano una quota maggiore del bilancio mensile. Ne deriva una crescente disuguaglianza economica e sociale.

Perché i prezzi continuano ad aumentare

Oltre agli effetti immediati della crisi delle materie prime – innescata da una combinazione di fattori geopolitici (guerre, tensioni commerciali), climatici (siccità, alluvioni, aumento dei costi energetici) e logistici (aumenti nei trasporti e nelle catene di approvvigionamento) – ci sono anche debolezze strutturali che rendono il nostro sistema più esposto.

L’Italia, ad esempio, dipende fortemente dalle importazioni per molte materie prime agricole ed energetiche. I produttori italiani, a loro volta, devono fronteggiare costi più alti per l’energia e per i materiali, che inevitabilmente scaricano sui prezzi finali. Inoltre, la filiera agroalimentare è soggetta a una pressione competitiva altissima, con margini sempre più risicati per agricoltori, trasformatori e distributori.

Alla luce di questi dati, le prospettive non appaiono rosee. Senza interventi strutturali sul fronte dei costi, della fiscalità e del potere d’acquisto, la situazione potrebbe peggiorare nella seconda metà del 2025.